"Quando le generazioni future giudicheranno coloro che sono venuti prima di loro sulle questioni ambientali, potranno arrivare alla conclusione che questi ‘non sapevano’: accertiamoci di non passare alla storia come la generazione che sapeva, ma non si è preoccupata"
(Mikhail Gorbachev)

Viviamo un’epoca di forti cambiamenti e ci troviamo di fronte a sfide mai affrontate prima. Oggi, per la prima volta nella storia, la maggior parte della popolazione mondiale vive in aree urbane: così le città e le comunità locali si trovano attivamente coinvolte, su più fronti, nella costruzione di un futuro più sostenibile. Come argomenta Michele Acuto (Università di Melbourne) oggi non tocca solo ai governi nazionali essere una guida nel campo ambientale, ma anche alle città1. Lo conferma Benjamin Barger nel libro “If Mayors Ruled the World”, che sottolinea come le città debbano oggi compensare i limiti delle nazioni, che si rivelano di volta in volta più disfunzionali2.

Nascono così i network delle città, tra cui il C40: ideato nel 2005 su iniziativa del Sindaco di Londra Ken Livingstone, connette 97 tra le più importanti città del mondo, rappresentando più di 700 milioni di cittadini ed un quarto dell’economia globale. L’obiettivo del network è ambizioso: costruire un futuro più sostenibile e rispettare gli Accordi di Parigi a livello locale3. Un altro esempio è quello del network U.S. Climate Alliance (USCA)4, istituito nel 2016 per contrastare la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima5.

Anche durante la pandemia i network di città sono stati fondamentali. Ad esempio, la C40 ha istituito un’Agenda - sotto la direzione del Sindaco di Los Angeles Eric Garcetti e presieduta dal Sindaco di Milano Giuseppe Sala - per chiedere ai governi di impiegare i fondi per la ripresa per affrontare le disuguaglianze sociali che il Covid-19 ha accelerato nelle città6.

Per le città, si tratta di una grande opportunità di sviluppo sostenibile: il dinamismo urbano – secondo l’undicesimo obiettivo SDG elaborato dall'ONU – può generare e promuovere inclusività, sicurezza, resilienza e sostenibilità7.

D’altra parte, oggi i consumatori si aspettano dai brand un impegno maggiore tanto verso la sostenibilità quanto verso le comunità locali. Il 57% della popolazione globale, infatti, vorrebbe aziende più eco-friendly – in Italia la percentuale sale al 63%8. Inoltre, come rilevato dall’ Edelman Trust Barometer Special Report: Trust, The New Brand Equity 2021, le persone sono attratte maggiormente (63%) dai marchi che antepongono il benessere della collettività a quello del singolo. Un importante cambio di prospettiva dall’ “io” al “noi”, che i brand devono tenere in considerazione se vogliono rimanere credibili9.

Un esempio di successo, che ha coinvolto più di 70 aziende, è Forestami, un progetto che ha l’obiettivo di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030, migliorare la vita della grande Milano e contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Un progetto ambizioso a cui hanno contribuito persone fisiche, enti pubblici, associazioni ed aziende private in un’ottica di comunità: solo tutti insieme si può infatti costruire un futuro migliore10.

Milano è una delle città che di più si sta impegnando nella creazione di un ecosistema urbano sostenibile, anche grazie a un forte network internazionale. Proprio a Milano, a settembre, si terranno gli eventi preparatori al summit COP26 di Glasgow - tra cui “Youth4Climate: Driving Ambition” e il vertice Pre-COP26. La città si sta ritagliando, quindi, un ruolo sempre più importante in questo cambiamento globale, che coinvolge ognuno di noi e che sarà cruciale per il nostro futuro.

Articolo a cura di Matilde Marozzi – “infiltrata” di Year Zero, il Next Gen Lab di Edelman Italia